Ziv : Parashat Miketz 2


Ogni settimana, Gad Barnea o Suor Agnese della Croce (della Comunita’ delle Beatitudini) ci propongono una riflessione su un brano del Pentateuco che viene letto nella sinagoga (parashat hashavua). Questa settimana il brano e’ tolto dal Libro della Genesi 41,1 – 44,17 con l’haftarah (lettura aggiunta) dal 1 Libro dei Re 3,15 – 4,1. La loro riflessione e’ chiamata “ziv” – raggio di luce.

ziv mikets

Ripagare il bene con il male

La Parasha di questa settimana ci immette in una nuova fase della vita di Giuseppe e con essa, in una nuova fase dei figli di Israele. All’inizio della Parasha Giuseppe viene portato davanti al Faraone per interpretare l’ultimo sogno che lo turbava. Questo evento, che e’ successo il giorno del compleanno del Faraone – e precisamente due anni (Genesi 41,1) dopo i sogni dei compagni di prigionia di Giuseppe – mettera’ le basi alla realizzazione dei sogni dell’infanzia di Giuseppe (Genesi 37). La rivelazione di questo sogno prevede un periodo di grande carestia: “A questi succederanno sette anni di carestia; si dimentichera’ tutta quella abbondanza nel paese d’Egitto e la carestia consumera’ il paese” (Genesi 41,30). Giuseppe viene messo a capo di tutto il paese d’Egitto per preparare i raccolti prima di questo nefasto evento.

Tuttavia, Giuseppe non ha dimenticato la sua missione – quella che ha ricevuto da suo padre Giacobbe – cioe’ di “vedere come stavano i suoi fratelli” (Genesi 37,14). E’ chiaro che la previsione della carestia non e’ solo per il Faraone, ma anche per Giuseppe stesso. Infatti i suoi fratelli non avranno altra scelta che quella di recarsi alla fine in Egitto, da Giuseppe stesso, per fornirsi di cibo per loro stessi, il loro anziano padre e le loro famiglie. E questo e’ cio’ che Giuseppe attende pazientemente e ha a disposizione nove anni per prepararsi a incontrare i suoi fratelli. Rendendosi conto che e’ anche la realizzazione del suo sogno, comprende che l’essere stato portato in Egitto e’ la salvezza della loro vita: raccogliere il grano – i covoni del suo sogno – per dare cibo ai suoi fratelli e sfamare le loro famiglie. Si rende conto che i ventidue anni di sofferenza sono stati necessari per un bene maggiore. Cio’ che Giuseppe decide di fare e’ insegnare loro uno dei principali insegnamenti della Torah: che non c’e’ male che non possa essere trasformato in bene secondo la volonta’ di Dio, per cui il male deve essere ricambiato con il bene. Al fine di insegnare loro questa lezione, li accusa ingiustamente di essere delle spie – e’ appositamente severo e ingiusto con loro – ma poi va all’altro estremo ed e’ volutamente gentile e generoso. Gioca la parte di un sovrano egizio che si pente dei suoi atti malvagi. Dopo averli messi in prigione ingiustamente per tre giorni, si rivolge a loro con parole di pentimento: “Fate questo e avrete salva la vita; io temo Dio! Se voi siete sinceri, uno dei vostri fratelli resti prigioniero nel vostro carcere e voi andate a portare il grano per la fame delle vostre case. Poi mi condurrete qui il vostro fratello piu’ giovane. Allora le vostre parole si dimostreranno vere e non morirete” (Genesi 42, 18-20). E questo continua fino alla fine della Parasha quando Giuseppe incarica il suo amministratore di mettere la sua “coppa d’argento” nel sacco di Beniamino. I fratelli di certo si erano resi conto che Beniamino non aveva rubato la coppa – ma il fatto che era stata trovata nel suo sacco ha fatto credere che Dio avesse permesso che cio’ avvenisse a causa delle loro azioni per spingerli poi al pentimento – ed e’ per questo che istruisce il maggiordomo della sua casa a dire loro “Perche’ avete reso male per bene?” (Genesi 44,4). Queste sono le parole del brano della prossima settimana che porteranno Giuda e i suoi fratelli al pentimento e alla riunificazione della famiglia di Giacobbe. Questa storia ci insegna che il pentimento deriva dal fatto che nonostante le proprie azioni malvagie si e’ ripagati con il bene e che le buone azioni hanno sempre la meglio sul male. Shabbat Shalom.

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