Ziv: Parashat Devarim 2


Ogni settimana, Gad Barnea o Sr. Agnese della Croce (della Comunita’ delle Beatitudini) propongono una riflessione su un brano del Pentateuco che viene letto nella sinagoga (parashat hashavua). Questa settimana il brano e’ tolto dal Libro del Deuteronomio 1,1 – 3,22 con l’haftarah (lettura aggiunta) dal Profeta Isaia 1,1-27. La loro riflessione e’ chiamata “ziv” – raggio di luce.

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La tua parola e’ luce ai miei passi

Questa settimana iniziamo la lettura del libro del Deuteronomio nel quale Mosè ha riassunto tutti gli insegnamenti della Torah. Quando è stato scelto per la sua missione, egli disse: "Io non sono un buon parlatore", Ish Devarim (Es 4,10). Dopo aver servito il Signore e il suo popolo per quarant'anni, è stato trasformato al punto che un libro della Torah ora inizia con "Queste sono le parole che Mosè rivolge a tutto Israele ..." e non più con "Il Signore parlò a Mosè, dicendo ... ". Il midrash (Dt Rabba 1,6) spiega che le parole Devarim (parole) e d'vorim (api) hanno un suono simile, di conseguenza i rimproveri di Mosè al popolo sono come la puntura di un'ape: può ferire colui che viene punto, ma provoca la morte dell’ape. Mose’ ha sofferto molto criticando i figli d'Israele, e alla fine è morto prima di entrare nella terra promessa. Aveva un tale amore per il suo popolo tanto da soffrire anche più di loro per le critiche fatte. Questo è in netto contrasto con le lodi del falso profeta Balaam, sopraffatto dall'odio. Mose’ critica anche il suo comportamento: parla a tutto Israele, compreso se stesso. Egli ricorda le sue debolezze: "Ma come posso io da solo portare il vostro peso ..." (1,12). Il popolo ha dovuto rimanere ancora quarant’anni nel deserto a causa della loro ribellione. Sono pieni di amarezza a causa della difficoltà della loro condizione, e non accettano di essere guidati da Mosè. Il testo e’ chiaro: in primo luogo "hanno rifiutato di entrare nella terra e si sono ribellati all’ordine del Signore" (1,26), e quando Mosè dice loro che devono rimanere nel deserto, ancora una volta "hanno disprezzato il comando del Signore e volontariamente sono saliti sulla montagna ". I due versi offrono un contrasto ironico. Pretendono anche che Colui che li guida dal cielo li ha portati fuori dal paese d'Egitto perché li odia! (1,27). Essi attribuiscono al Signore i propri sentimenti su di lui. Rashi, citando un midrash, pensa che dicano: "Se Dio ci ha amasse veramente, ci avrebbe dato il paese d'Egitto e mandato gli egiziani nel deserto". Non conoscono il prezzo della libertà, che è responsabilità. Solo mentre vagano nel deserto, sono in grado di comprendere questa difficile lezione. Devono lasciare il paese d'Egitto, dove l'acqua viene dal Nilo, dal basso, per entrare nella terra promessa dove si beve l’acqua "della pioggia che viene dal cielo" (Dt 11,11).

Questo Shabbat cade poco prima del 9 del mese di Av, in ebraico, Tisha BeAv, il giorno che commemora tutti gli eventi difficili della storia di Israele, come la distruzione dei due templi. Pertanto, l’haftara che viene letta oggi non e’ collegata con questa Parashat, ma piuttosto con il libro delle Lamentazioni che viene letto in quel giorno. Ed e’ lo stesso per i prossimi sette Shabbat: le haftara sono brani di consolazione, fino al giorno del Kippur. Shabbat shalom.

 

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