Ziv Parashat Noah


Ogni settimana, Gad Barnea o Suor Agnese della Croce (della Comunita’ delle Beatitudini) ci propongono una riflessione su un brano del Pentateuco che viene letto nella sinagoga (parashat hashavua). Questa settimana il brano e’ tolto dal Libro della Genesi 6,9 – 11,32 con l’haftarah (lettura aggiunta) dal Profeta Isaia 54,1 – 55,5. La loro riflessione e’ chiamata “ziv” – raggio di luce.

ziv noah

Dopo Babele

Questa Parasha racconta la storia della torre di Babele, poco prima del diluvio che ha segnato l’inizio di una nuova creazione. Gli uomini di quel tempo avevano paura a causa di cio’ che era successo alla generazione precedente (un commentario spiega di aver trovato le ossa delle vittime dell’alluvione ...). Decidono di essere uniti e di costruire una torre la cui cima avrebbe raggiunto il cielo. Questa torre sara’ il simbolo del loro potere e della loro autonomia. E’ stato il malvagio Nimrod, nella sua ribellione contro Dio, a suggerire questo piano. Secondo il Midrash, questo progetto si basa sulla violenza latente: “Se qualcuno cade e muore, nessuno gli presta attenzione. Ma se anche solo un mattone cade, allora tutti si siedono e piangono dicendo: Guai a noi! Quando ne troveremo un altro per sostituirlo?” E all’inizio del racconto si dice che i costruttori si sono spostati verso est, in ebraico hanno lasciato “Qedem”, un termine che puo’ essere inteso come “quello che era prima”, cioe’ il Creatore.

Allora scese e confuse le loro lingue. E gli uomini si sono dispersi e hanno riempito la terra ... In principio il mondo e’ stato creato con dieci parole che hanno dato vita, separando e dando nome al caos originario. Alla sua creazione, l’uomo ha ricevuto il comando di riempire la terra (Genesi 1,28). La costruzione della torre e’ il contrario del movimento della vita nella creazione: invece di espandersi in orizzontale sulla terra, l’uomo costruisce in verticale ... Si rifiuta di lasciare il luogo in cui vive, per diventare un nomade. Si rifiuta di separarsi dagli altri, preferendo di vivere in un mondo dove tutto e’ lo stesso.

Dopo Babele e la moltiplicazione delle lingue, gli uomini devono imparare gli uni dagli altri. Non e’ piu’ possibile comunicare senza imparare la lingua dell’altro. Solo in questa reciproca attenzione saranno in grado di costruire la pace. In ebraico, la parola “violenza” ha la stessa radice della parola “muto”: e’ il rifiuto di parlare, e di ascoltare, che porta alla violenza. Le parole hanno il potere di creare e di far si’ che ci sia luce. Dopo la generazione di Babele, il Creatore dara’ un’altra volta dieci parole, dieci parole di separazione e di creazione. I “Dieci comandamenti” ricevuti da Mose’ sul Monte Sinai separano cio’ che e’ permesso da cio’ che e’ proibito. Questa distinzione consente l’edificazione di una vita sociale. E al cuore di quelle dieci parole si trova il comandamento di adorare l’Unico Dio.

Abramo, il servo fedele, entra in scena subito dopo questo episodio. Ascoltera’ la parola di Dio e la mettera’ in pratica. Lascera’ la sua patria per un paese sconosciuto. Accettera’ di essere un vagabondo e di vivere la sua vita in una tenda e non in una torre. La sua discendenza sara’ numerosa come le stelle del cielo, come la sabbia del mare, e abitera’ la faccia della terra. Shabbat Shalom.

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