Ziv: Parashat Vaetchanan


Ogni settimana, Gad Barnea o Suor Agnese della Croce (della Comunita’ delle Beatitudini) ci propongono una riflessione su un brano del Pentateuco che viene letto nella sinagoga (parashat hashavua). Questa settimana il brano e’ tolto dal Libro del Deuteronomio 3,23 – 7,11 con l’haftarah (lettura aggiunta) dal Profeta Isaia 40,1 - 26. La loro riflessione e’ chiamata “ziv” – raggio di luce.

ziv vaethanan

Il Sabato della Consolazione

Questa Parasha viene letta durante la prima settimana dopo il nono giorno del mese di Av, in ebraico, Tisha BeAv, il giorno in cui si commemora la distruzione del Tempio di Gerusalemme con il digiuno e la lettura delle Lamentazioni di Geremia. Questo giorno particolare e’ stato preceduto da tre Sabati durante i quali l’ “haftarah” prepara i cuori al pentimento.

Oggi, e per altri sei Sabati, viene letto il libro della Consolazione del profeta Isaia (i capitoli 40-66). Questo ci conduce al Sabato che precede il giorno dell’espiazione, Yom Kippur, il grande giorno in cui vengono perdonati tutti i peccati commessi durante l’anno ...

Queste letture non sono quindi direttamente in relazione alla Parasha. Tuttavia una certa connessione puo’ essere fatta questa settimana. Il Libro del Deuteronomio descrive la grande sofferenza di Mose’ che, dopo tante prove e amarezze, non puo’ entrare nella terra promessa ... Per la prima volta lo vediamo supplicare per se stesso. La sua richiesta e’ ascoltata ma puo’ vedere la terra dove scorre latte e miele solo da lontano. Subito dopo questo episodio Mose’ ammonisce il popolo: “Guardatevi dal dimenticare l’alleanza che il Signore vostro Dio ha stabilita con voi e dal farvi alcuna immagine scolpita di qualunque cosa”, la cui conseguenza di idolatria e’ molto chiara: “voi certo perirete, scomparendo dal paese di cui state per prendere possesso oltre il Giordano” (Deuteronomio 4,23,26). Il possesso della terra e’ quindi collegato all’osservanza della Torah e al rifiuto degli idoli. Si puo’ capire l’ammonizione di Mose’: l’idolatria e’ caratterizzata dal rifiuto delle distanze, e dal desiderio di possedere l’oggetto di venerazione. Questo desiderio e’ estremamente pericoloso soprattutto quando riguarda la terra, che e’ donata solo per essere restituita al suo Proprietario, proprio come quando noi rendiamo grazie. Si deve vivere nella terra come di “passaggio”, e questo e’ il significato della parola “ebreo”. Rashi, in un commentario famoso, si chiede perche’ la Torah inizia con il racconto della creazione e non con l’esodo dall’Egitto ... questo perche’ si puo’ andare fino alla terra d’Israele solo con il ricordo del Creatore, al quale tutte le cose appartengono. Questo messaggio e’ fondamentale, e nella liturgia ebraica viene ricordato in modo del tutto particolare: ogni anno, tende/capanne vengono costruite sotto il cielo aperto in cui gli ebrei vivono per otto giorni in ricordo della vita nel deserto e della precarieta’ dell’esistenza. Abramo, il primo ad essere chiamato, ha ricevuto la chiamata a lasciare “la sua terra e la sua eredita’” e a iniziare il suo viaggio. Mose’, che ha dato la legge al popolo, deve vivere nella sua carne l’esperienza di non possedere niente: egli morira’ nel deserto, “secondo il comando di Dio”, con la consolazione di vedere il popolo vivere su quella terra. Shabbat Shalom.

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