Ziv: Parashat Mattot-Masa’i


Ogni settimana, Gad Barnea o Suor Agnese della Croce (della Comunita’ delle Beatitudini) ci propongono una riflessione su un brano del Pentateuco che viene letto nella sinagoga (parashat hashavua). Questa settimana il brano e’ tolto dal Libro dei Numeri 30,2 – 36,13 con l’haftarah (lettura aggiunta) dal Profeta Geremia 2,4 -28; 3,4. La loro riflessione e’ chiamata “ziv” – raggio di luce.

ziv matot

Le citta’ santuario

Questa settimana leggiamo le ultime due Parashot del libro dei Numeri. E’ la conclusione del viaggio degli Ebrei nel deserto alla fine della vita di Mose’. Il capitolo trenta racconta l’importanza della parola data, dei voti e delle sentenze. E anche l’ordine dato a Mose’ di andare in guerra contro Madian, una guerra di vendetta ... contro coloro che hanno cercato di cambiare il popolo del Dio vivente e spinti a commettere l’idolatria. Cosi’ dice il testo: “Uccisero anche di spada Balaam figlio di Beor” (31,8). Un commentario dice che Balaam rimase indietro per vedere se il suo complotto di distruggere il popolo avrebbe avuto successo. In un primo momento aveva cercato di usare il potere della parola maledicendo gli Israeliti, in seguito, vedendo che li aveva benedetti a dispetto di se stesso, li incitava a commettere fornicazioni. Cio’ e avvenuto per far conoscere a Israele la potenza della parola e la sua efficacia, come abbiamo visto nel capitolo trenta. La spada e’ l’arma di Esau’ [“Vivrai della tua spada” (Gen 27,40)], e Balaam, che ha cercato di usare quest’arma contro Israele, sarebbe morto di spada. Mose’ non partecipo’ alla guerra di vendetta, forse’ perche’ in gioventu’ trovo’ rifugio presso Madian.

Alla fine della Parasha, al momento della distribuzione della terra alle diverse tribu’, si trova la questione delle citta’ santuario. Si tratta di un concetto totalmente nuovo nella storia biblica: ci deve essere un luogo dove coloro che hanno ucciso senza premeditazione, ma per caso, siano in grado di sfuggire alla vendetta di sangue. Queste citta’ sono un modo per rompere il ciclo della vendetta. L’assassino non puo’ uscire dalla citta’ senza esporsi alla vendetta, e cosi’, in qualche modo, “paga” per il suo crimine. I parenti di colui che e’ stato ucciso possono trovare un po’ di sollievo in questo accordo: accettano di non cercare vendetta purche’ l’imputato rimanga in citta’. Tuttavia l’assassino puo’ ritornare alla sua proprieta’ dopo la morte del sommo sacerdote. Il tema della vendetta di sangue e’ legato a quello della terra: versare il sangue, uccidere, significa contaminare il paese (35,33). La

Presenza divina non puo’ risiedere in un paese contaminato dal sangue. Come ci si deve purificare prima di entrare nel tempio, perche’ e’ un luogo sacro, cosi’ devono fare gli abitanti del paese, purificarsi del sangue versato. Il sommo sacerdote e’ colui che, nel giorno del Kippur, offre il sacrificio di espiazione – e’ suo compito per ottenere il perdono dei peccati del popolo. E’ per questo motivo che la sua morte segna la fine dell’esilio per coloro che hanno trovato rifugio nelle citta’ santuario. Shabbat Shalom.

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