Laudato si’ – Capitolo Sesto dell’Enciclica del Papa


Pubblichiamo qui di seguito il capitolo sesto dell’Enciclica di Papa Francesco sull’ambiente.

CAPITOLO SESTO
EDUCAZIONE E SPIRITUALITÀ ECOLOGICA

202. Molte cose devono riorientare la propria rotta, ma prima di tutto è l’umanità che ha bisogno di
cambiare. Manca la coscienza di un’origine comune, di una mutua appartenenza e di un futuro
condiviso da tutti. Questa consapevolezza di base permetterebbe lo sviluppo di nuove convinzioni,
nuovi atteggiamenti e stili di vita. Emerge così una grande sfida culturale, spirituale e educativa
che implicherà lunghi processi di rigenerazione.

I. PUNTARE SU UN ALTRO STILE DI VITA

203. Dal momento che il mercato tende a creare un meccanismo consumistico compulsivo per
piazzare i suoi prodotti, le persone finiscono con l’essere travolte dal vortice degli acquisti e delle
spese superflue. Il consumismo ossessivo è il riflesso soggettivo del paradigma tecno-economico.
Accade ciò che già segnalava Romano Guardini: l’essere umano «accetta gli oggetti ordinari e le
forme consuete della vita così come gli sono imposte dai piani razionali e dalle macchine
normalizzate e, nel complesso, lo fa con l’impressione che tutto questo sia ragionevole e
giusto».[144] Tale paradigma fa credere a tutti che sono liberi finché conservano una pretesa
libertà di consumare, quando in realtà coloro che possiedono la libertà sono quelli che fanno parte
della minoranza che detiene il potere economico e finanziario. In questa confusione, l’umanità
postmoderna non ha trovato una nuova comprensione di sé stessa che possa orientarla, e questa
mancanza di identità si vive con angoscia. Abbiamo troppi mezzi per scarsi e rachitici fini.

204. La situazione attuale del mondo «provoca un senso di precarietà e di insicurezza, che a sua
volta favorisce forme di egoismo collettivo».[145] Quando le persone diventano autoreferenziali e
si isolano nella loro coscienza, accrescono la propria avidità. Più il cuore della persona è vuoto,
più ha bisogno di oggetti da comprare, possedere e consumare. In tale contesto non sembra
possibile che qualcuno accetti che la realtà gli ponga un limite. In questo orizzonte non esiste
nemmeno un vero bene comune. Se tale è il tipo di soggetto che tende a predominare in una
società, le norme saranno rispettate solo nella misura in cui non contraddicano le proprie
necessità. Perciò non pensiamo solo alla possibilità di terribili fenomeni climatici o grandi disastri
naturali, ma anche a catastrofi derivate da crisi sociali, perché l’ossessione per uno stile di vita
consumistico, soprattutto quando solo pochi possono sostenerlo, potrà provocare soltanto
violenza e distruzione reciproca.

205. Eppure, non tutto è perduto, perché gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo,
possono anche superarsi, ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi, al di là di qualsiasi
condizionamento psicologico e sociale che venga loro imposto. Sono capaci di guardare a sé
stessi con onestà, di far emergere il proprio disgusto e di intraprendere nuove strade verso la vera
libertà. Non esistono sistemi che annullino completamente l’apertura al bene, alla verità e alla
bellezza, né la capacità di reagire, che Dio continua ad incoraggiare dal profondo dei nostri cuori.
Ad ogni persona di questo mondo chiedo di non dimenticare questa sua dignità che nessuno ha
diritto di toglierle.

206. Un cambiamento negli stili di vita potrebbe arrivare ad esercitare una sana pressione su
coloro che detengono il potere politico, economico e sociale. È ciò che accade quando i movimenti
dei consumatori riescono a far sì che si smetta di acquistare certi prodotti e così diventano efficaci
per modificare il comportamento delle imprese, forzandole a considerare l’impatto ambientale e i
modelli di produzione. È un fatto che, quando le abitudini sociali intaccano i profitti delle imprese,
queste si vedono spinte a produrre in un altro modo. Questo ci ricorda la responsabilità sociale dei
consumatori. «Acquistare è sempre un atto morale, oltre che economico».[146] Per questo oggi «il
tema del degrado ambientale chiama in causa i comportamenti di ognuno di noi».[147]

207. La Carta della Terra ci chiamava tutti a lasciarci alle spalle una fase di autodistruzione e a
cominciare di nuovo, ma non abbiamo ancora sviluppato una coscienza universale che lo renda
possibile. Per questo oso proporre nuovamente quella preziosa sfida: «Come mai prima d’ora
nella storia, il destino comune ci obbliga a cercare un nuovo inizio […]. Possa la nostra epoca
essere ricordata per il risveglio di una nuova riverenza per la vita, per la risolutezza nel
raggiungere la sostenibilità, per l’accelerazione della lotta per la giustizia e la pace, e per la
gioiosa celebrazione della vita».[148]

208. E’ sempre possibile sviluppare una nuova capacità di uscire da sé stessi verso l’altro. Senza
di essa non si riconoscono le altre creature nel loro valore proprio, non interessa prendersi cura di
qualcosa a vantaggio degli altri, manca la capacità di porsi dei limiti per evitare la sofferenza o il
degrado di ciò che ci circonda. L’atteggiamento fondamentale di auto-trascendersi, infrangendo la
coscienza isolata e l’autoreferenzialità, è la radice che rende possibile ogni cura per gli altri e per
l’ambiente, e fa scaturire la reazione morale di considerare l’impatto provocato da ogni azione e
da ogni decisione personale al di fuori di sé. Quando siamo capaci di superare l’individualismo, si
può effettivamente produrre uno stile di vita alternativo e diventa possibile un cambiamento
rilevante nella società.

II. EDUCARE ALL’ALLEANZA TRA L’UMANITÀ E L’AMBIENTE

209. La coscienza della gravità della crisi culturale ed ecologica deve tradursi in nuove abitudini.
Molti sanno che il progresso attuale e il semplice accumulo di oggetti o piaceri non bastano per
dare senso e gioia al cuore umano, ma non si sentono capaci di rinunciare a quanto il mercato
offre loro. Nei Paesi che dovrebbero produrre i maggiori cambiamenti di abitudini di consumo, i
giovani hanno una nuova sensibilità ecologica e uno spirito generoso, e alcuni di loro lottano in
modo ammirevole per la difesa dell’ambiente, ma sono cresciuti in un contesto di altissimo
consumo e di benessere che rende difficile la maturazione di altre abitudini. Per questo ci troviamo
davanti ad una sfida educativa.

210. L’educazione ambientale è andata allargando i suoi obiettivi. Se all’inizio era molto centrata
sull’informazione scientifica e sulla presa di coscienza e prevenzione dei rischi ambientali, ora
tende a includere una critica dei “miti” della modernità basati sulla ragione strumentale
(individualismo, progresso indefinito, concorrenza, consumismo, mercato senza regole) e anche a
recuperare i diversi livelli dell’equilibrio ecologico: quello interiore con sé stessi, quello solidale con
gli altri, quello naturale con tutti gli esseri viventi, quello spirituale con Dio. L’educazione
ambientale dovrebbe disporci a fare quel salto verso il Mistero, da cui un’etica ecologica trae il suo
senso più profondo. D’altra parte ci sono educatori capaci di reimpostare gli itinerari pedagogici di
un’etica ecologica, in modo che aiutino effettivamente a crescere nella solidarietà, nella
responsabilità e nella cura basata sulla compassione.

211. Tuttavia, questa educazione, chiamata a creare una “cittadinanza ecologica”, a volte si limita
a informare e non riesce a far maturare delle abitudini. L’esistenza di leggi e norme non è
sufficiente a lungo termine per limitare i cattivi comportamenti, anche quando esista un valido
controllo. Affinché la norma giuridica produca effetti rilevanti e duraturi è necessario che la
maggior parte dei membri della società l’abbia accettata a partire da motivazioni adeguate, e
reagisca secondo una trasformazione personale. Solamente partendo dal coltivare solide virtù è
possibile la donazione di sé in un impegno ecologico. Se una persona, benché le proprie
condizioni economiche le permettano di consumare e spendere di più, abitualmente si copre un
po’ invece di accendere il riscaldamento, ciò suppone che abbia acquisito convinzioni e modi di
sentire favorevoli alla cura dell’ambiente. È molto nobile assumere il compito di avere cura del
creato con piccole azioni quotidiane, ed è meraviglioso che l’educazione sia capace di motivarle
fino a dar forma ad uno stile di vita. L’educazione alla responsabilità ambientale può incoraggiare
vari comportamenti che hanno un’incidenza diretta e importante nella cura per l’ambiente, come
evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti,
cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi,
utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare
alberi, spegnere le luci inutili, e così via. Tutto ciò fa parte di una creatività generosa e dignitosa,
che mostra il meglio dell’essere umano. Riutilizzare qualcosa invece di disfarsene rapidamente,
partendo da motivazioni profonde, può essere un atto di amore che esprime la nostra dignità.

212. Non bisogna pensare che questi sforzi non cambieranno il mondo. Tali azioni diffondono un
bene nella società che sempre produce frutti al di là di quanto si possa constatare, perché
provocano in seno a questa terra un bene che tende sempre a diffondersi, a volte invisibilmente.
Inoltre, l’esercizio di questi comportamenti ci restituisce il senso della nostra dignità, ci conduce ad
una maggiore profondità esistenziale, ci permette di sperimentare che vale la pena passare per
questo mondo.

213. Gli ambiti educativi sono vari: la scuola, la famiglia, i mezzi di comunicazione, la catechesi, e
altri. Una buona educazione scolastica nell’infanzia e nell’adolescenza pone semi che possono
produrre effetti lungo tutta la vita. Ma desidero sottolineare l’importanza centrale della famiglia,
perché «è il luogo in cui la vita, dono di Dio, può essere adeguatamente accolta e protetta contro i
molteplici attacchi a cui è esposta, e può svilupparsi secondo le esigenze di un’autentica crescita
umana. Contro la cosiddetta cultura della morte, la famiglia costituisce la sede della cultura della
vita».[149] Nella famiglia si coltivano le prime abitudini di amore e cura per la vita, come per
esempio l’uso corretto delle cose, l’ordine e la pulizia, il rispetto per l’ecosistema locale e la
protezione di tutte le creature. La famiglia è il luogo della formazione integrale, dove si dispiegano
i diversi aspetti, intimamente relazionati tra loro, della maturazione personale. Nella famiglia si
impara a chiedere permesso senza prepotenza, a dire “grazie” come espressione di sentito
apprezzamento per le cose che riceviamo, a dominare l’aggressività o l’avidità, e a chiedere scusa
quando facciamo qualcosa di male. Questi piccoli gesti di sincera cortesia aiutano a costruire una
cultura della vita condivisa e del rispetto per quanto ci circonda.

214. Alla politica e alle varie associazioni compete uno sforzo di formazione delle coscienze.
Compete anche alla Chiesa. Tutte le comunità cristiane hanno un ruolo importante da compiere in
questa educazione. Spero altresì che nei nostri seminari e nelle case religiose di formazione si
educhi ad una austerità responsabile, alla contemplazione riconoscente del mondo, alla cura per
la fragilità dei poveri e dell’ambiente. Poiché grande è la posta in gioco, così come occorrono
istituzioni dotate di potere per sanzionare gli attacchi all’ambiente, altrettanto abbiamo bisogno di
controllarci e di educarci l’un l’altro.

215. In questo contesto, «non va trascurata […] la relazione che c’è tra un’adeguata educazione
estetica e il mantenimento di un ambiente sano».[150] Prestare attenzione alla bellezza e amarla
ci aiuta ad uscire dal pragmatismo utilitaristico. Quando non si impara a fermarsi ad ammirare ed
apprezzare il bello, non è strano che ogni cosa si trasformi in oggetto di uso e abuso senza
scrupoli. Allo stesso tempo, se si vuole raggiungere dei cambiamenti profondi, bisogna tener
presente che i modelli di pensiero influiscono realmente sui comportamenti. L’educazione sarà
inefficace e i suoi sforzi saranno sterili se non si preoccupa anche di diffondere un nuovo modello
riguardo all’essere umano, alla vita, alla società e alla relazione con la natura. Altrimenti
continuerà ad andare avanti il modello consumistico trasmesso dai mezzi di comunicazione e
attraverso gli efficaci meccanismi del mercato.

III. LA CONVERSIONE ECOLOGICA

216. La grande ricchezza della spiritualità cristiana, generata da venti secoli di esperienze
personali e comunitarie, costituisce un magnifico contributo da offrire allo sforzo di rinnovare
l’umanità. Desidero proporre ai cristiani alcune linee di spiritualità ecologica che nascono dalle
convinzioni della nostra fede, perché ciò che il Vangelo ci insegna ha conseguenze sul nostro
modo di pensare, di sentire e di vivere. Non si tratta tanto di parlare di idee, quanto soprattutto
delle motivazioni che derivano dalla spiritualità al fine di alimentare una passione per la cura del
mondo. Infatti non sarà possibile impegnarsi in cose grandi soltanto con delle dottrine, senza una
mistica che ci animi, senza «qualche movente interiore che dà impulso, motiva, incoraggia e dà
senso all’azione personale e comunitaria».[151] Dobbiamo riconoscere che non sempre noi
cristiani abbiamo raccolto e fatto fruttare le ricchezze che Dio ha dato alla Chiesa, dove la
spiritualità non è disgiunta dal proprio corpo, né dalla natura o dalle realtà di questo mondo, ma
piuttosto vive con esse e in esse, in comunione con tutto ciò che ci circonda.

217. Se «i deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così
ampi»,[152] la crisi ecologica è un appello a una profonda conversione interiore. Tuttavia
dobbiamo anche riconoscere che alcuni cristiani impegnati e dediti alla preghiera, con il pretesto
del realismo e della pragmaticità, spesso si fanno beffe delle preoccupazioni per l’ambiente. Altri
sono passivi, non si decidono a cambiare le proprie abitudini e diventano incoerenti. Manca loro
dunque una conversione ecologica, che comporta il lasciar emergere tutte le conseguenze
dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo che li circonda. Vivere la vocazione di essere
custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di
opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana.

218. Ricordiamo il modello di san Francesco d’Assisi, per proporre una sana relazione col creato
come una dimensione della conversione integrale della persona. Questo esige anche di
riconoscere i propri errori, peccati, vizi o negligenze, e pentirsi di cuore, cambiare dal di dentro. I
Vescovi dell’Australia hanno saputo esprimere la conversione in termini di riconciliazione con il
creato: «Per realizzare questa riconciliazione dobbiamo esaminare le nostre vite e riconoscere in
che modo offendiamo la creazione di Dio con le nostre azioni e con la nostra incapacità di agire.
Dobbiamo fare l’esperienza di una conversione, di una trasformazione del cuore».[153]

219. Tuttavia, non basta che ognuno sia migliore per risolvere una situazione tanto complessa
come quella che affronta il mondo attuale. I singoli individui possono perdere la capacità e la
libertà di vincere la logica della ragione strumentale e finiscono per soccombere a un consumismo
senza etica e senza senso sociale e ambientale. Ai problemi sociali si risponde con reti
comunitarie, non con la mera somma di beni individuali: «Le esigenze di quest’opera saranno così
immense che le possibilità delle iniziative individuali e la cooperazione dei singoli,
individualisticamente formati, non saranno in grado di rispondervi. Sarà necessaria una unione di
forze e una unità di contribuzioni».[154] La conversione ecologica che si richiede per creare un
dinamismo di cambiamento duraturo è anche una conversione comunitaria.

220. Tale conversione comporta vari atteggiamenti che si coniugano per attivare una cura
generosa e piena di tenerezza. In primo luogo implica gratitudine e gratuità, vale a dire un
riconoscimento del mondo come dono ricevuto dall’amore del Padre, che provoca come
conseguenza disposizioni gratuite di rinuncia e gesti generosi anche se nessuno li vede o li
riconosce: «Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra […] e il Padre tuo, che vede nel
segreto, ti ricompenserà» (Mt 6,3-4). Implica pure l’amorevole consapevolezza di non essere
separati dalle altre creature, ma di formare con gli altri esseri dell’universo una stupenda
comunione universale. Per il credente, il mondo non si contempla dal di fuori ma dal di dentro,
riconoscendo i legami con i quali il Padre ci ha unito a tutti gli esseri. Inoltre, facendo crescere le
capacità peculiari che Dio ha dato a ciascun credente, la conversione ecologica lo conduce a
sviluppare la sua creatività e il suo entusiasmo, al fine di risolvere i drammi del mondo, offrendosi
a Dio «come sacrificio vivente, santo e gradito» (Rm 12,1). Non interpreta la propria superiorità
come motivo di gloria personale o di dominio irresponsabile, ma come una diversa capacità che a
sua volta gli impone una grave responsabilità che deriva dalla sua fede.

221. Diverse convinzioni della nostra fede, sviluppate all’inizio di questa Enciclica, aiutano ad
arricchire il senso di tale conversione, come la consapevolezza che ogni creatura riflette qualcosa
di Dio e ha un messaggio da trasmetterci, o la certezza che Cristo ha assunto in sé questo mondo
materiale e ora, risorto, dimora nell’intimo di ogni essere, circondandolo con il suo affetto e
penetrandolo con la sua luce. Come pure il riconoscere che Dio ha creato il mondo inscrivendo in
esso un ordine e un dinamismo che l’essere umano non ha il diritto di ignorare. Quando leggiamo
nel Vangelo che Gesù parla degli uccelli e dice che «nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a
Dio» (Lc 12,6), saremo capaci di maltrattarli e far loro del male? Invito tutti i cristiani a esplicitare
questa dimensione della propria conversione, permettendo che la forza e la luce della grazia
ricevuta si estendano anche alla relazione con le altre creature e con il mondo che li circonda, e
susciti quella sublime fratellanza con tutto il creato che san Francesco d’Assisi visse in maniera
così luminosa.

IV. GIOIA E PACE

222. La spiritualità cristiana propone un modo alternativo di intendere la qualità della vita, e
incoraggia uno stile di vita profetico e contemplativo, capace di gioire profondamente senza
essere ossessionati dal consumo. È importante accogliere un antico insegnamento, presente in
diverse tradizioni religiose, e anche nella Bibbia. Si tratta della convinzione che “meno è di più”.
Infatti il costante cumulo di possibilità di consumare distrae il cuore e impedisce di apprezzare
ogni cosa e ogni momento. Al contrario, rendersi presenti serenamente davanti ad ogni realtà, per
quanto piccola possa essere, ci apre molte più possibilità di comprensione e di realizzazione
personale. La spiritualità cristiana propone una crescita nella sobrietà e una capacità di godere
con poco. È un ritorno alla semplicità che ci permette di fermarci a gustare le piccole cose, di
ringraziare delle possibilità che offre la vita senza attaccarci a ciò che abbiamo né rattristarci per
ciò che non possediamo. Questo richiede di evitare la dinamica del dominio e della mera
accumulazione di piaceri.

223. La sobrietà, vissuta con libertà e consapevolezza, è liberante. Non è meno vita, non è bassa
intensità, ma tutto il contrario. Infatti quelli che gustano di più e vivono meglio ogni momento sono
coloro che smettono di beccare qua e là, cercando sempre quello che non hanno, e sperimentano
ciò che significa apprezzare ogni persona e ad ogni cosa, imparano a familiarizzare con le realtà
più semplici e ne sanno godere. In questo modo riescono a ridurre i bisogni insoddisfatti e
diminuiscono la stanchezza e l’ansia. Si può aver bisogno di poco e vivere molto, soprattutto
quando si è capaci di dare spazio ad altri piaceri e si trova soddisfazione negli incontri fraterni, nel
servizio, nel mettere a frutto i propri carismi, nella musica e nell’arte, nel contatto con la natura,
nella preghiera. La felicità richiede di saper limitare alcune necessità che ci stordiscono, restando
così disponibili per le molteplici possibilità che offre la vita.

224. La sobrietà e l’umiltà non hanno goduto nell’ultimo secolo di una positiva considerazione.
Quando però si indebolisce in modo generalizzato l’esercizio di qualche virtù nella vita personale e
sociale, ciò finisce col provocare molteplici squilibri, anche ambientali. Per questo non basta più
parlare solo dell’integrità degli ecosistemi. Bisogna avere il coraggio di parlare dell’integrità della
vita umana, della necessità di promuovere e di coniugare tutti i grandi valori. La scomparsa
dell’umiltà, in un essere umano eccessivamente entusiasmato dalla possibilità di dominare tutto
senza alcun limite, può solo finire col nuocere alla società e all’ambiente. Non è facile maturare
questa sana umiltà e una felice sobrietà se diventiamo autonomi, se escludiamo dalla nostra vita
Dio e il nostro io ne occupa il posto, se crediamo che sia la nostra soggettività a determinare ciò
che è bene e ciò che è male.

225. D’altra parte, nessuna persona può maturare in una felice sobrietà se non è in pace con sé
stessa. E parte di un’adeguata comprensione della spiritualità consiste nell’allargare la nostra
comprensione della pace, che è molto più dell’assenza di guerra. La pace interiore delle persone è
molto legata alla cura dell’ecologia e al bene comune, perché, autenticamente vissuta, si riflette in
uno stile di vita equilibrato unito a una capacità di stupore che conduce alla profondità della vita.
La natura è piena di parole d’amore, ma come potremo ascoltarle in mezzo al rumore costante,
alla distrazione permanente e ansiosa, o al culto dell’apparire? Molte persone sperimentano un
profondo squilibrio che le spinge a fare le cose a tutta velocità per sentirsi occupate, in una fretta
costante che a sua volta le porta a travolgere tutto ciò che hanno intorno a sé. Questo incide sul
modo in cui si tratta l’ambiente. Un’ecologia integrale richiede di dedicare un po’ di tempo per
recuperare la serena armonia con il creato, per riflettere sul nostro stile di vita e i nostri ideali, per
contemplare il Creatore, che vive tra di noi e in ciò che ci circonda, e la cui presenza «non deve
essere costruita, ma scoperta e svelata».[155]

226. Stiamo parlando di un atteggiamento del cuore, che vive tutto con serena attenzione, che sa
rimanere pienamente presente davanti a qualcuno senza stare a pensare a ciò che viene dopo,
che si consegna ad ogni momento come dono divino da vivere in pienezza. Gesù ci insegnava
questo atteggiamento quando ci invitava a guardare i gigli del campo e gli uccelli del cielo, o
quando, alla presenza di un uomo in ricerca, «fissò lo sguardo su di lui» e «lo amò» (Mc 10,21).
Lui sì che sapeva stare pienamente presente davanti ad ogni essere umano e davanti ad ogni
creatura, e così ci ha mostrato una via per superare l’ansietà malata che ci rende superficiali,
aggressivi e consumisti sfrenati.

227. Un’espressione di questo atteggiamento è fermarsi a ringraziare Dio prima e dopo i pasti.
Propongo ai credenti che riprendano questa preziosa abitudine e la vivano con profondità. Tale
momento della benedizione, anche se molto breve, ci ricorda il nostro dipendere da Dio per la vita,
fortifica il nostro senso di gratitudine per i doni della creazione, è riconoscente verso quelli che con
il loro lavoro forniscono questi beni, e rafforza la solidarietà con i più bisognosi.

V. AMORE CIVILE E POLITICO

228. La cura per la natura è parte di uno stile di vita che implica capacità di vivere insieme e di
comunione. Gesù ci ha ricordato che abbiamo Dio come nostro Padre comune e che questo ci
rende fratelli. L’amore fraterno può solo essere gratuito, non può mai essere un compenso per ciò
che un altro realizza, né un anticipo per quanto speriamo che faccia. Per questo è possibile amare
i nemici. Questa stessa gratuità ci porta ad amare e accettare il vento, il sole o le nubi, benché
non si sottomettano al nostro controllo. Per questo possiamo parlare di una fraternità universale.

229. Occorre sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una
responsabilità verso gli altri e verso il mondo, che vale la pena di essere buoni e onesti. Già troppo
a lungo siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell’etica, della bontà, della fede,
dell’onestà, ed è arrivato il momento di riconoscere che questa allegra superficialità ci è servita a
poco. Tale distruzione di ogni fondamento della vita sociale finisce col metterci l’uno contro l’altro
per difendere i propri interessi, provoca il sorgere di nuove forme di violenza e crudeltà e
impedisce lo sviluppo di una vera cultura della cura dell’ambiente.

230. L’esempio di santa Teresa di Lisieux ci invita alla pratica della piccola via dell’amore, a non
perdere l’opportunità di una parola gentile, di un sorriso, di qualsiasi piccolo gesto che semini pace
e amicizia. Un’ecologia integrale è fatta anche di semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la
logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo. Viceversa, il mondo del consumo
esasperato è al tempo stesso il mondo del maltrattamento della vita in ogni sua forma.

231. L’amore, pieno di piccoli gesti di cura reciproca, è anche civile e politico, e si manifesta in
tutte le azioni che cercano di costruire un mondo migliore. L’amore per la società e l’impegno per il
bene comune sono una forma eminente di carità, che riguarda non solo le relazioni tra gli individui,
ma anche «macro-relazioni, rapporti sociali, economici, politici».[156] Per questo la Chiesa ha
proposto al mondo l’ideale di una «civiltà dell’amore».[157] L’amore sociale è la chiave di un
autentico sviluppo: «Per rendere la società più umana, più degna della persona, occorre rivalutare
l’amore nella vita sociale – a livello, politico, economico, culturale - facendone la norma costante e
suprema dell’agire».[158] In questo quadro, insieme all’importanza dei piccoli gesti quotidiani,
l’amore sociale ci spinge a pensare a grandi strategie che arrestino efficacemente il degrado
ambientale e incoraggino una cultura della cura che impregni tutta la società. Quando qualcuno
riconosce la vocazione di Dio a intervenire insieme con gli altri in queste dinamiche sociali, deve
ricordare che ciò fa parte della sua spiritualità, che è esercizio della carità, e che in tal modo
matura e si santifica.

232. Non tutti sono chiamati a lavorare in maniera diretta nella politica, ma in seno alla società
fiorisce una innumerevole varietà di associazioni che intervengono a favore del bene comune,
difendendo l’ambiente naturale e urbano. Per esempio, si preoccupano di un luogo pubblico (un
edificio, una fontana, un monumento abbandonato, un paesaggio, una piazza), per proteggere,
risanare, migliorare o abbellire qualcosa che è di tutti. Intorno a loro si sviluppano o si recuperano
legami e sorge un nuovo tessuto sociale locale. Così una comunità si libera dall’indifferenza
consumistica. Questo vuol dire anche coltivare un’identità comune, una storia che si conserva e si
trasmette. In tal modo ci si prende cura del mondo e della qualità della vita dei più poveri, con un
senso di solidarietà che è allo stesso tempo consapevolezza di abitare una casa comune che Dio
ci ha affidato. Queste azioni comunitarie, quando esprimono un amore che si dona, possono
trasformarsi in intense esperienze spirituali.

VI. I SEGNI SACRAMENTALI E IL RIPOSO CELEBRATIVO

233. L’universo si sviluppa in Dio, che lo riempie tutto. Quindi c’è un mistero da contemplare in
una foglia, in un sentiero, nella rugiada, nel volto di un povero.[159] L’ideale non è solo passare
dall’esteriorità all’interiorità per scoprire l’azione di Dio nell’anima, ma anche arrivare a incontrarlo
in tutte le cose, come insegnava san Bonaventura: «La contemplazione è tanto più elevata quanto
più l’uomo sente in sé l’effetto della grazia divina o quanto più sa riconoscere Dio nelle altre
creature».[160]

234. San Giovanni della Croce insegnava che tutto quanto c’è di buono nelle cose e nelle
esperienze del mondo «si trova eminentemente in Dio in maniera infinita o, per dire meglio, Egli è
ognuna di queste grandezze che si predicano».[161] Non è perché le cose limitate del mondo
siano realmente divine, ma perché il mistico sperimenta l’intimo legame che c’è tra Dio e tutti gli
esseri, e così «sente che Dio è per lui tutte le cose».[162] Se ammira la grandezza di una
montagna, non può separare questo da Dio, e percepisce che tale ammirazione interiore che egli
vive deve depositarsi nel Signore: «Le montagne hanno delle cime, sono alte, imponenti, belle,
graziose, fiorite e odorose. Come quelle montagne è l’Amato per me. Le valli solitarie sono quiete,
amene, fresche, ombrose, ricche di dolci acque. Per la varietà dei loro alberi e per il soave canto
degli uccelli ricreano e dilettano grandemente il senso e nella loro solitudine e nel loro silenzio
offrono refrigerio e riposo: queste valli è il mio Amato per me».[163]

235. I Sacramenti sono un modo privilegiato in cui la natura viene assunta da Dio e trasformata in
mediazione della vita soprannaturale. Attraverso il culto siamo invitati ad abbracciare il mondo su
un piano diverso. L’acqua, l’olio, il fuoco e i colori sono assunti con tutta la loro forza simbolica e si
incorporano nella lode. La mano che benedice è strumento dell’amore di Dio e riflesso della
vicinanza di Cristo che è venuto ad accompagnarci nel cammino della vita. L’acqua che si versa
sul corpo del bambino che viene battezzato è segno di vita nuova. Non fuggiamo dal mondo né
neghiamo la natura quando vogliamo incontrarci con Dio. Questo si può percepire specialmente
nella spiritualità dell’Oriente cristiano: «La bellezza, che in Oriente è uno dei nomi con cui più
frequentemente si suole esprimere la divina armonia e il modello dell’umanità trasfigurata, si
mostra dovunque: nelle forme del tempio, nei suoni, nei colori, nelle luci e nei profumi».[164] Per
l’esperienza cristiana, tutte le creature dell’universo materiale trovano il loro vero senso nel Verbo
incarnato, perché il Figlio di Dio ha incorporato nella sua persona parte dell’universo materiale,
dove ha introdotto un germe di trasformazione definitiva: «Il Cristianesimo non rifiuta la materia, la
corporeità; al contrario, la valorizza pienamente nell’atto liturgico, nel quale il corpo umano mostra
la propria natura intima di tempio dello Spirito e arriva a unirsi al Signore Gesù, anche Lui fatto
corpo per la salvezza del mondo».[165]

236. Nell’Eucaristia il creato trova la sua maggiore elevazione. La grazia, che tende a manifestarsi
in modo sensibile, raggiunge un’espressione meravigliosa quando Dio stesso, fatto uomo, arriva a
farsi mangiare dalla sua creatura. Il Signore, al culmine del mistero dell’Incarnazione, volle
raggiungere la nostra intimità attraverso un frammento di materia. Non dall’alto, ma da dentro,
affinché nel nostro stesso mondo potessimo incontrare Lui. Nell’Eucaristia è già realizzata la
pienezza, ed è il centro vitale dell’universo, il centro traboccante di amore e di vita inesauribile.
Unito al Figlio incarnato, presente nell’Eucaristia, tutto il cosmo rende grazie a Dio. In effetti
l’Eucaristia è di per sé un atto di amore cosmico: «Sì, cosmico! Perché anche quando viene
celebrata sul piccolo altare di una chiesa di campagna, l’Eucaristia è sempre celebrata, in certo
senso, sull’altare del mondo».[166] L’Eucaristia unisce il cielo e la terra, abbraccia e penetra tutto
il creato. Il mondo, che è uscito dalle mani di Dio, ritorna a Lui in gioiosa e piena adorazione: nel
Pane eucaristico «la creazione è protesa verso la divinizzazione, verso le sante nozze, verso
l’unificazione con il Creatore stesso».[167] Perciò l’Eucaristia è anche fonte di luce e di
motivazione per le nostre preoccupazioni per l’ambiente, e ci orienta ad essere custodi di tutto il
creato.

237. La domenica, la partecipazione all’Eucaristia ha un’importanza particolare. Questo giorno,
così come il sabato ebraico, si offre quale giorno del risanamento delle relazioni dell’essere
umano con Dio, con sé stessi, con gli altri e con il mondo. La domenica è il giorno della
Risurrezione, il “primo giorno” della nuova creazione, la cui primizia è l’umanità risorta del Signore,
garanzia della trasfigurazione finale di tutta la realtà creata. Inoltre, questo giorno annuncia «il
riposo eterno dell’uomo in Dio».[168] In tal modo, la spiritualità cristiana integra il valore del riposo
e della festa. L’essere umano tende a ridurre il riposo contemplativo all’ambito dello sterile e
dell’inutile, dimenticando che così si toglie all’opera che si compie la cosa più importante: il suo
significato. Siamo chiamati a includere nel nostro operare una dimensione ricettiva e gratuita, che
è diversa da una semplice inattività. Si tratta di un’altra maniera di agire che fa parte della nostra
essenza. In questo modo l’azione umana è preservata non solo da un vuoto attivismo, ma anche
dalla sfrenata voracità e dall’isolamento della coscienza che porta a inseguire l’esclusivo beneficio
personale. La legge del riposo settimanale imponeva di astenersi dal lavoro nel settimo giorno,
«perché possano godere quiete il tuo bue e il tuo asino e possano respirare i figli della tua schiava
e il forestiero» (Es 23,12). Il riposo è un ampliamento dello sguardo che permette di tornare a
riconoscere i diritti degli altri. Così, il giorno di riposo, il cui centro è l’Eucaristia, diffonde la sua
luce sull’intera settimana e ci incoraggia a fare nostra la cura della natura e dei poveri.

VII. LA TRINITÀ E LA RELAZIONE TRA LE CREATURE

238. Il Padre è la fonte ultima di tutto, fondamento amoroso e comunicativo di quanto esiste. Il
Figlio, che lo riflette, e per mezzo del quale tutto è stato creato, si unì a questa terra quando prese
forma nel seno di Maria. Lo Spirito, vincolo infinito d’amore, è intimamente presente nel cuore
dell’universo animando e suscitando nuovi cammini. Il mondo è stato creato dalle tre Persone
come unico principio divino, ma ognuna di loro realizza questa opera comune secondo la propria
identità personale. Per questo, «quando contempliamo con ammirazione l’universo nella sua
grandezza e bellezza, dobbiamo lodare tutta la Trinità».[169]

239. Per i cristiani, credere in un Dio unico che è comunione trinitaria porta a pensare che tutta la
realtà contiene in sé un’impronta propriamente trinitaria. San Bonaventura arrivò ad affermare che
l’essere umano, prima del peccato, poteva scoprire come ogni creatura «testimonia che Dio è
trino». Il riflesso della Trinità si poteva riconoscere nella natura «quando né quel libro era oscuro
per l’uomo, né l’occhio dell’uomo si era intorbidato».[170] Il santo francescano ci insegna che ogni
creatura porta in sé una struttura propriamente trinitaria, così reale che potrebbe essere
spontaneamente contemplata se lo sguardo dell’essere umano non fosse limitato, oscuro e fragile.
In questo modo ci indica la sfida di provare a leggere la realtà in chiave trinitaria.

240. Le Persone divine sono relazioni sussistenti, e il mondo, creato secondo il modello divino, è
una trama di relazioni. Le creature tendono verso Dio, e a sua volta è proprio di ogni essere
vivente tendere verso un’altra cosa, in modo tale che in seno all’universo possiamo incontrare
innumerevoli relazioni costanti che si intrecciano segretamente[171]. Questo non solo ci invita ad
ammirare i molteplici legami che esistono tra le creature, ma ci porta anche a scoprire una chiave
della nostra propria realizzazione. Infatti la persona umana tanto più cresce, matura e si santifica
quanto più entra in relazione, quando esce da sé stessa per vivere in comunione con Dio, con gli
altri e con tutte le creature. Così assume nella propria esistenza quel dinamismo trinitario che Dio
ha impresso in lei fin dalla sua creazione. Tutto è collegato, e questo ci invita a maturare una
spiritualità della solidarietà globale che sgorga dal mistero della Trinità.

VIII. LA REGINA DI TUTTO IL CREATO

241. Maria, la madre che ebbe cura di Gesù, ora si prende cura con affetto e dolore materno di
questo mondo ferito. Così come pianse con il cuore trafitto la morte di Gesù, ora ha compassione
della sofferenza dei poveri crocifissi e delle creature di questo mondo sterminate dal potere
umano. Ella vive con Gesù completamente trasfigurata, e tutte le creature cantano la sua
bellezza. È la Donna «vestita di sole, con la luna sotto i piedi e una corona di dodici stelle sul suo
capo» (Ap 12,1). Elevata al cielo, è Madre e Regina di tutto il creato. Nel suo corpo glorificato,
insieme a Cristo risorto, parte della creazione ha raggiunto tutta la pienezza della sua bellezza. Lei
non solo conserva nel suo cuore tutta la vita di Gesù, che «custodiva» con cura (cfr Lc 2,19.51),
ma ora anche comprende il senso di tutte le cose. Perciò possiamo chiederle che ci aiuti a
guardare questo mondo con occhi più sapienti.

242. Insieme a lei, nella santa famiglia di Nazaret, risalta la figura di san Giuseppe. Egli ebbe cura
e difese Maria e Gesù con il suo lavoro e la sua presenza generosa, e li liberò dalla violenza degli
ingiusti portandoli in Egitto. Nel Vangelo appare come un uomo giusto, lavoratore, forte. Ma dalla
sua figura emerge anche una grande tenerezza, che non è propria di chi è debole ma di chi è
veramente forte, attento alla realtà per amare e servire umilmente. Per questo è stato dichiarato
custode della Chiesa universale. Anche lui può insegnarci ad aver cura, può motivarci a lavorare
con generosità e tenerezza per proteggere questo mondo che Dio ci ha affidato.

IX. AL DI LÀ DEL SOLE

243. Alla fine ci incontreremo faccia a faccia con l’infinita bellezza di Dio (cfr 1 Cor 13,12) e
potremo leggere con gioiosa ammirazione il mistero dell’universo, che parteciperà insieme a noi
della pienezza senza fine. Sì, stiamo viaggiando verso il sabato dell’eternità, verso la nuova
Gerusalemme, verso la casa comune del cielo. Gesù ci dice: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose»
(Ap 21,5). La vita eterna sarà una meraviglia condivisa, dove ogni creatura, luminosamente
trasformata, occuperà il suo posto e avrà qualcosa da offrire ai poveri definitivamente liberati.

244. Nell’attesa, ci uniamo per farci carico di questa casa che ci è stata affidata, sapendo che ciò
che di buono vi è in essa verrà assunto nella festa del cielo. Insieme a tutte le creature,
camminiamo su questa terra cercando Dio, perché «se il mondo ha un principio ed è stato creato,
cerca chi lo ha creato, cerca chi gli ha dato inizio, colui che è il suo Creatore».[172] Camminiamo
cantando! Che le nostre lotte e la nostra preoccupazione per questo pianeta non ci tolgano la gioia
della speranza.

245. Dio, che ci chiama alla dedizione generosa e a dare tutto, ci offre le forze e la luce di cui
abbiamo bisogno per andare avanti. Nel cuore di questo mondo rimane sempre presente il
Signore della vita che ci ama tanto. Egli non ci abbandona, non ci lascia soli, perché si è unito
definitivamente con la nostra terra, e il suo amore ci conduce sempre a trovare nuove strade. A
Lui sia lode!
*****
[144] Das Ende der Neuzeit, Würzburg 19659, 66-67 (ed. it. La fine dell’epoca moderna, Brescia
1987, 61).
[145] Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1990, 1: AAS 82 (1990),
147.
[146] Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 66: AAS 101 (2009), 699.
[147] Id., Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2010, 11: AAS 102 (2010), 48.
83
[148] Carta della Terra, L’Aja (29 giugno 2000).
[149] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus (1 maggio 1991), 39: AAS 83 (1991), 842.
[150] Id., Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1990, 14: AAS 82 (1990), 155.
[151] Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 261: AAS 105 (2013), 1124.
[152] Benedetto XVI, Omelia per il solenne inizio del ministero petrino (24 aprile 2005): AAS 97
(2005), 710.
[153] Conferenza dei Vescovi Cattolici dell’Australia, A New Earth. The Environmental Challenge
(2002).
[154] Romano Guardini, Das Ende der Neuzeit, 72 (trad. it.: La fine dell’epoca moderna, 66).
[155] Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 71: AAS 105 (2013), 1050.
[156] Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 2: AAS 101 (2009), 642.
[157] Paolo VI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1977: AAS 68 (1976), 709.
[158] Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della
Chiesa, 582.
[159] Un maestro spirituale, Ali Al-Khawwas, a partire dalla sua esperienza, sottolineava la
necessità di non separare troppo le creature del mondo dall’esperienza di Dio nell’interiorità.
Diceva: «Non bisogna dunque biasimare per partito preso la gente che cerca l’estasi nella musica
e nella poesia. C’è un “segreto” sottile in ciascuno dei movimenti e dei suoni di questo mondo. Gli
iniziati arrivano a cogliere quello che dicono il vento che soffia, gli alberi che si piegano, l’acqua
che scorre, le mosche che ronzano, le porte che cigolano, il canto degli uccelli, il pizzicar di corde,
il fischio del flauto, il sospiro dei malati, il gemito dell’afflitto…»(Eva De Vitray-Meyerovitch [ed.],
Anthologie du soufisme, Paris 1978, 200; trad. it.: I mistici dell’Islam, Parma 1991, 199).
[160] In II Sent., 23, 2, 3.
[161] Cántico Espiritual, XIV, 5.
[162] Ibid.
[163] Ibid., XIV, 6-7.
84
[164] Giovanni Paolo II, Lett. ap. Orientale lumen (2 maggio 1995), 11: AAS 87 (1995), 757.
[165] Ibid.
[166] Id., Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 8: AAS 95 (2003), 438.
[167] Benedetto XVI, Omelia nella Messa del Corpus Domini (15 giugno 2006): AAS 98 (2006),
513.
[168] Catechismo della Chiesa Cattolica, 2175.
[169] Giovanni Paolo II, Catechesi (2 agosto 2000), 4: Insegnamenti 23/2 (2000), 112.
[170] Quaest. disp. de Myst. Trinitatis, 1, 2, concl.
[171] Cfr Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae I, q. 11, art. 3; q. 21, art. 1, ad 3; q. 47, art. 3.
[172] Basilio Magno, Hom. in Hexaemeron, 1, 2, 6: PG 29, 8.

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