Ziv: Il Libro di Rut – per il giorno dello Shavuot


Ogni settimana, Gad Barnea o Suor Agnese della Croce (della Comunita’ delle Beatitudini) ci propongono una riflessione su un brano del Pentateuco che viene letto nella sinagoga (parashat hashavua). Questa settimana la riflessione e’ sul Libro di Rut che si legge nella sinagoga per la festa di Pentecoste.

ziv ruthIl pentimento e la redenzione sono il filo conduttore del libro di Rut. Narra la storia di due donne: una, Noemi, perde tutto: il marito, i figli, i suoi beni, ma, per grazia di Dio, persevera fino a ritrovare se stessa; l’altra, Rut (dalla quale il libro prende il nome) lascia la sua famiglia, il suo paese e la sua fede pagana per diventare una del popolo ebraico e abbracciare la loro fede.

La storia inizia con una tragedia quando, nel giro di pochi versetti, Noemi raggiunge uno stato di poverta’ assoluta e di umiliazione nel paese di Moab dove lei e la sua famiglia si sono rifugiati per sfuggire alla carestia che, a quel tempo, aveva colpito il paese di Giuda. Nel momento piu’ umiliante della sua vita, Noemi si pente di aver abbandonato Dio e il suo popolo e cosi’ decide di ritornare al suo paese di origine, seguita dalle sue due nuore. Orpa che, secondo la tradizione e’ la nonna di Golia, e Rut la futura nonna di Davide dalla cui stirpe nascera’ il Messia. Si dice che Orpa “sia tornata al suo popolo e ai suoi dei” (Rut 1,15), e che Rut “si sia aggrappata” a Noemi. Il termine ebraico “aggrappare” e’ davak o attaccarsi a qualcuno per diventare uno con l’altro. E’ un termine spesso usato in situazioni di amore per Dio o nei rapporti matrimoniali.

Quando giunsero a Betlemme, il primo giorno del raccolto dell’orzo, tutte le donne s’interessarono di loro dicendo: “E’ proprio Noemi!”. Essa, pentita e umiliata, rispondeva: “Non mi chiamate Noemi, chiamatemi Mara, perche’ l’Onnipotente mi ha tanto amareggiata! Io ero partita piena e il Signore mi fa tornare vuota. Perche’ chiamarmi Noemi, quando il Signore si e’ dichiarato contro di me e l’Onnipotente mi ha resa infelice?” (Rut 1,20-21). Il nome Mara e’ spesso frainteso con il significato di “amaro” nel senso omofonico, ma se cosi’ fosse si sarebbe scritto con una “heh” alla fine a non con una “aleph” come invece e’ scritto. Mara in realta’ significa potere e autorita’. Cosi’ Noemi dice alle donne di Betlemme: “Ho perso tutto ed e’ vero che Dio mi ha trattato molto duramente ma sono io responsabile di questo. Ho avuto la liberta’ di scegliere il corso della mia vita e ho fatto le scelte sbagliate delle quali mi devo assumere la colpa”.

Questa confessione mette Noemi e Rut sulla via della redenzione. Rut va a spigolare nei campi di Betlemme e si trova nel campo di un ricco parente di Noemi di nome Booz. Booz, cosi’ viene detto a Rut, e’ parente di Noemi (e, per estensione, di Rut) che, secondo la legge di Mose’, puo’ salvarle dal loro stato di poverta’. Da un punto di vista puramente tecnico, Booz non e’ tenuto a fare niente per Rut dal momento che secondo la legge ebraica il suo matrimonio con Maclon non era legittimo. Ed e’ proprio qui che troviamo il tema principale del libro: grazia e redenzione gratuite – quando Booz non solo riscatta Rut e la sposa, ma assicura anche il nome del marito morto, un uomo considerato come traditore del suo popolo e del suo Dio. Cosi’ dice davanti al popolo alle porte della citta’: “Ho preso come moglie Rut, la Moabita, gia’ moglie di Maclon, per assicurare il nome del defunto sulla sua eredita’ e perche’ il nome del defunto non scompaia tra i suoi fratelli e alla porta della sua citta’” (Rut 4,10). E’ da questo riscatto, un riscatto non per necessita’ ma per pura grazia, non per legge ma per compassione, che dalla stirpe di Davide germogliera’ la stirpe del Messia. Shabbat Shalom.

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