Ziv: Parashat VaYikra


Ogni settimana, Gad Barnea o Sr. Agnese della Croce (della Comunita’ delle Beatitudini) propone una riflessione su un brano del Pentateuco che viene letto nella sinagoga (parashat hashavua). Questa settimana il brano e’ tolto dal libro del Levitico 1,1 – 5,26 con l’haftarah (lettura aggiunta) dal profeta Isaia 43,21 – 44,23. La loro riflessione e’ chiamata “ziv” – raggio di luce.

ziv vayikra
Io, io cancello i tuoi misfatti
Il Levitico e’ il libro delle regole e delle prescrizioni sacerdotali per questo inizia con le diverse offerte che i sacerdoti devono offrire per i peccati individuali e comunitari. La prima regola inizia con le parole: “Quando uno di voi vorra’ fare un’offerta ...” (Levitico 1,2) ma in Ebraico questo versetto viene tradotto in questo modo: “Quando un uomo vorra’ fare un’offerta ...”, o piu’ precisamente: “Quando Adamo vorra’ fare un’offerta ...”. Rashi qui si domanda circa il ruolo del nostro primo antenato: “Perche’ questa precisazione? Proprio come Adamo, il primo uomo, non ha offerto niente che fosse rubato, poiche’ tutto gli apparteneva, cosi’ non si dovrebbe offrire nulla di cio’ che e’ rubato”. Ma questo paragone va oltre: questi sacrifici, come abbiamo gia’ detto, rappresentano gli animali (puri) che Adamo avrebbe dovuto dominare (Genesi 1,26). Il secondo capitolo della nostra parasha inizia quasi allo stesso modo: “Se qualcuno offrira’ un’oblazione” (Levitico 2,1), in Ebraico: “Se un’anima offrira’ ...” – e qui sono inclusi anche la farina e l’olio. Questi elementi rappresentano i prodotti della natura che Dio, nella sua grazia, ha dato all’uomo per il suo nutrimento (Genesi 1,29). Questi sacrifici sono dunque offerti al fine di fare espiazione a causa del primo peccato nella vita di ogni uomo e donna nei quali “nefesh” – l’anima vivente – data dal soffio di Dio (Genesi 2,7) e’ stata ferita – anche se rimane pura – come diciamo nella preghiera del mattino: “l’anima che mi hai dato e’ pura”. Questo e’ cio’ che leggiamo anche nella Haftarah: “Il tuo primo padre pecco’, i tuoi internediari mi furono ribelli” (Isaia 43,27).
Dopo i sacrifici di Adamo e dei viventi, arriviamo al sommo ssacerdote che, come abbiamo visto alla fine dell’Esodo, nella persona di Aronne, e’ lui stesso un nuovo Adamo. Abbiamo visto che Mose’, nel ruolo di “Dio” per Aronne (come Dio gli aveva detto al roveto ardente: “tu farai per lui le veci di Dio” [Esodo 4,16]) e’ accusato di “ri-creare” Aronne. Nella nostra parasha, il sommo sacerdote e’ letteralmente chiamato “il sacerdote, il messia” (Levitico 4,3). E’ la prima volta che questa parola appare nella Scrittura ed e’ l’unico testo in cui questo termine e’ accompagnato dall’articolo. Come si spiegherebbe questa espressione? E’ possibile che viene chiamato “messia” semplicemente perche’ questa parola significa “colui che ha ricevuto l’unzione”. Ma ogni cosa nel santuario, inclusi tutti i sacerdoti, veniva unta allo stesso modo (Esodo 40,15), perche’ dunque distinguere un sacerdote dagli altri? Teniamo presente che il sommo sacerdote e’ un nuovo Adamo, che e’ unto per espiare i propri peccati e quelli del popolo – per redimerli – che e’ esattamente cio’ che ci si aspetta da un Messia. Il sommo sacerdote, dunque, riveste un duplice ruolo: quello del nostro progenitore e allo stesso tempo quello del futuro redentore di Israele. Inoltre questa unzione non e’ un semplice atto religioso, ma “la loro unzione conferira’ loro un sacerdozio perenne, per le loro generazioni” (Esodo 40,15) – non e’ solo un “segno” del sacerdozio, ma e’ il fondamento della perpetuita’ del sacerdozio. E’ quindi dall’unzione – e non per semplice genealogia – che ci sara’ un “sacerdozio perpetuo”. Possiamo quindi comprendere che il Messia e’ l’ultimo sommo sacerdote e quello che in ultima analisi deve conciliare il popolo con Dio eliminando i loro peccati: “Io, io cancello i tuoi misfatti, per riguardo a me non ricordo piu’ i tuoi peccati” (Isaia 43,25). Shabbat Shalom.

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