Ziv: Parashat Vayakhel – Pekudei


Ogni settimana, Gad Barnea or Suor Agnese della Croce (della Comunita’ delle Beatitudini) propone una riflessione sul testo del Pentateuco che si legge nella Sinagoga (parashat hashavua). Questa settimana il testo e’ preso dal libro dell’Esodo 35,1 – 40:38 con la haftarah (lettura aggiunta) dal 1° Libro dei Re 7:40 – 8:21. La riflessione e’ chiamata “ziv”, un raggio di luce.

ziv kahel
E il settimo giorno Dio porto’ a compimento l’opera che aveva iniziato
Siamo giunti alla fine del libro dell’Esodo. Questo libro e’ stato chiamato dagli antichi semplicemente “il secondo libro” per indicare che e’ la diretta continuazione del libro della Genesi. In realta’, come abbiamo visto durante il nostro studio, la creazione e’ il tema principale del libro – o piu’ precisamente, la ri-creazione: abbiamo dimostrato come il popolo di Israele viene ricreato intorno all’evento dell’Esodo fino al loro arrivo al Monte Sinai, e poi con i comandamenti nella tenda del tabernacolo nel deserto e la descrizione degli abiti sacerdotali che simboleggiano una nuova creazione del mondo e dell’uomo – nella figura del sommo sacerdote Aronne. E’ nella nostra parasha, alla fine del libro, che si raggiunge la fine di questa nuova creazione con le parole: “Cosi’ Mose’ termino’ l’opera” (Esodo 40:33) – che ricorda il secondo capitolo della Genesi. Con questo compimento della creazione “la nube copri’ la tenda del convegno e la Gloria del Signore riempi’ la Dimora” (Esodo 40,34), confermando cosi’ la perfezione dell’opera – non solo quella divina, ma anche quella umana.
La nostra parasha inizia con una descrizione dei contributi di “quanti hanno cuore generoso” (Esodo 35,5). E’ il compito dell’uomo di portare tutti gli elementi del santuario – e deve farlo liberamente, con tutta la buona volonta’. Si legge che “vennero uomini e donne” (Esodo 35,22), un fatto che ha portato gli antichi a dichiarare che anche i bambini sono venuti a dare cio’ che potevano. E, come dimostrato all’inizio del libro, il lavoro delle donne e’ ancora una volta enfatizzato: “Tutte le donne esperte filarono con le mani e portarono filati di porpora viola e rossa, di scarlatto e di bisso. Tutte le donne che erano di cuore generoso, secondo la loro abilita’, filarono di pelo di capra” (Esodo 35,25-26). Ma i due maestri artigiani, pieni di spirito di Dio, erano “Bezaleel, figlio di Uri, figlio di Cur, della tribu’ di Giuda” (Esodo 35,30). “Ooliab, figlio di Achisamach, della tribu’ di Dan” (Esodo 35,34). I commentatori hanno notato qui che ognuno rappresenta la piu’ grande e la piu’ piccola tribu’: quella di Giuda e quella di Dan. Anche i loro nomi evocano l’opera della creazione: Bezaleel – all’ombra di Dio (Genesi 1,26), e Ooliab – le tende del padre.
Tra le offerte portate dai figli di Israele ce n’e’ una molto speciale per il catino di rame: “Fece la conca di rame e il suo piedistallo di rame, impiegandovi gli specchi delle donne, che nei tempi stabiliti venivano a prestar servizio all’ingresso della tenda del convegno” (Esodo 38,8). Questa conca nella quale Aronne e i suoi figli dovevano purificarsi prima di iniziare il loro servizio e prima di ogni sacrificio e nella quale Mose’ stesso fu lavato (Esodo 40,30), e’ stata fatta con le offerte delle donne che desideravano sbarazzarsi dei loro oggetti di vanita’ e di peccato, per offrirsi al servizio di Dio.
Il ciclo della creazione, iniziato al principio della Genesi, trova finalmente il suo compimento – anche se per un breve periodo. Nel primo racconto, la creazione e’ del tutto divina, nel secondo, e’ opera del lavoro dell’uomo. In questo modo vediamo la realizzazione del ruolo originario dell’uomo fin dalla creazione: “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perche’ lo coltivasse e lo custodisse” (Genesi 2,15). Shabbat Shalom.

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