Ziv: Parashat Mishpatim


Ogni settimana, Gad Barnea or Suor Agnese della Croce (della Comunita’ delle Beatitudini) propone una riflessione sul testo del Pentateuco che si legge nella Sinagoga (parashat hashavua). Questa settimana il testo e’ preso dal libro dell’Esodo 21,1-24,18 con la haftarah (lettura aggiunta) dal Profeta Geremia 34,8-22, 33,25-26. La riflessione e’ chiamata “ziv”, un raggio di luce.

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Un regno di sacerdoti e una nazione santa

Le parachas su Ietro e Mishpatim sono collegate in ebraico da un “waw consecutivo” indicando che sono intimamente legate sia a livello grammaticale come sul piano temporale. Infatti, a livello temporale sono cosi’ collegate da crearne una unita’. Questa unita’ e’ cosi’ forte che e’ proprio qui (Esodo 19,11) che Rashi afferma notoriamente, citando la tradizione: “Non c’e’ un prima ne’ un dopo nella Torah”. Ma per capire la complessita’ degli eventi, e’ necessario ritornare alla fonte, all’alleanza che Dio ha stipulato con Abramo in Genesi 15. Siamo spesso ritornati a questa alleanza fondamentale nei nostri studi delle precedenti parachas perche’ si tratta di un grande aiuto ai nostri sforzi di comprendere le azioni dei figli di Abramo, Isacco e Giacobbe. C’e’ inoltre l’importante consapevolezza che il popolo di Israele non ha mai smesso di studiare la parola divina, anche nella sua trasmissione orale, l’alleanza e tutta la storia che l’accompagna sono state trasmesse di generazione in generazione. Questa alleanza e’ ora al punto della sua realizzazione. Il popolo e’ di nuovo “qui”, sul Monte Sinai, 430 anni dopo l’alleanza, 400 anni dopo la nascita di Isacco e alla quarta generazione dopo la discesa in Egitto di Giacobbe, proprio come era stato detto ad Abramo, con “grandi ricchezze” (Genesi 15,14). La storia del roveto ardente ci insegna anche che il popolo verra’ al Sinai a “[servire] Dio su questo monte” e ad [offrire] sacrifici al Signore nostro Dio” (Esodo 3,12.18). In entrambi i casi, non c’e’ alcun accenno alla consegna della legge come invece accadra’.

L’alleanza verra’ ritrovata alla fine della nostra paracha, ma a livello temporale ha gia’ avuto luogo nel capitolo 19, prima della consegna della legge e dei Dieci Comandamenti, come Rashi ci ricorda. Gli eventi del capitolo 24 servono da ingrandimento a quelli del capitolo 19. Confrontiamo alcuni particolari: “Mose’ sali’ verso Dio” (19,3); “Aveva detto a Mose’: “Sali verso il Signore tu e Aronne, Nadab e Abiu e insieme settanta anziani d’Israele; voi vi prostrerete da lontano” (24,1); “Ora, se vorrete ascoltare la mia voce e custodire la mia alleanza, voi sarete per me la proprieta’ tra tutti i popoli, perche’ mia e’ tutta la terra” (19,5); “Allora Mose’ prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo; “Ecco il sangue dell’alleanza, che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole” (24,8). Il popolo accetta l’alleanza e risponde: “Quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo eseguiremo” (24,7).

Il rinnovo dell’alleanza e dei sacrifici incornicia la consegna della legge perche’ sono necessari al fine di rendere i figli di Israele “un regno di sacerdoti e una nazione santa” (19,6), in modo che possano ricevere la legge divina. Questa e’ la ragione per cui le parachas sono collegate non solo per la grammatica e il tempo, ma anche per l’altare. Ietro termina la legge dell’altare con queste parole: “Non salirai sul mio altare per mezzo di gradini, perche’ la’ non si scopra la tua nudita’” (Esodo 20,26). Ma sappiamo che qui non si intende la nudita’ fisica dal momento che i sacerdoti devono indossare “calzoni di lino, per coprire la loro nudita’; dovranno arrivare dai fianchi fino alle cosce” (Esodo 28,42). Per nudita’ qui si intende la vergogna, la nudita’ della coscienza davanti all’altare di Dio. Tutte le leggi che seguono riguardano la dignita’ dell’uomo e della sua liberta’, e la coscienza di un popolo dove ogni persona e’ sacerdote e deve salire lentamente verso l’altare di Dio senza aver compiuto ingiustizie verso i suoi simili o verso la creazione di Dio. Shabbat Shalom.

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